storia di Emer Mezzanotte

emer

Abbiamo scelto Emer perchè era uno di Noi…

Era uno Scout del Modena 6 per davvero ed è stato e continua ad essere per noi un esempio immenso di Fede.

Siamo orgogliosi che la nostra comunità porti il suo nome: Emer Mezzanotte.

 

 

 

[questo è un estratto dalla storia più completa disponibile QUI ]

 

Emer era un ragazzo sensibile e sincero: questi sono i due aggettivi con cui tratteggiamo il suo carattere. Amava l’amicizia e sapeva donarsi. Esigente con se stesso nel volere e nell’agire, perseguiva con caparbietà le mete che si prefiggeva, senza sgomentarsi davanti agli ostacoli.

Molta della sua maturazione umana avvenne nel diciassettesimo anno, l’ultimo della sua vita: divenne riflessivo e pacato, senza peraltro perdere il suo sorriso e la dolcezza.
Nei mesi finali la sua struttura interiore era saldamente informata dalla concezione Cristiana della Vita, che aveva ricevuto in famiglia e aveva respirato fin dall’infanzia.

 

 

Nato a Carpi il 17 Aprile 1974. Figlio di un medico chirurgo, Gabriele Mezzanotte, e di Gabriella, Emer nasce nel primo anno di nozze dei genitori, e gli viene dato il nome del nonno paterno. Emer… un nome strano: in greco vuol dire “giorno”.

Alle elementari Emer frequenta con profitto. In questi anni il suo carattere si vivacizza; pur rimanendo nel consueto rispetto dell’obbedienza ai genitori – che rimarrà una costante per tutta la vita – i suoi tratti si fanno più esuberanti e il suo carattere più vivace.
A 10 anni, in quinta elementare, il padre decide di lasciare l’ospedale e di partire volontario per il Pakistan con la Croce Rossa per una missione di 4 mesi: occorrono soccorsi nelle pericolose zone di confine, laddove ferve una sanguinosa guerra. La lontananza e i rischi legati alla missione fanno sì che lo stato d’animo di coloro che rimangono a casa, la moglie e i tre bambini piccoli, non sia dei più tranquilli. Emer sente la cosa. Di questo periodo è un tema, fatto in classe, che stupisce la maestra, e che le fa dire alla madre “questo ragazzo diventerà sacerdote” ma questo richiamo alla vita religiosa e sacerdotale rimane caso isolato per tutta la sua vita, ad esclusione degli ultimi mesi.

L’avventura in Pakistan del padre si conclude dopo solo un mese: una bomba scoppiata nell’accampamento, dalla quale esce illeso, gli fa riprendere la via di casa.
Appena rientrato, tutta la famiglia si avvicina al movimento Neocatecumenale, i due genitori entrano a farne parte quasi immediatamente.

Nel 1985 Emer inizia le scuole medie inferiori alle “Carducci” si nota una maturità nell’atteggiamento: è un ragazzino composto, scevro da ogni eccesso, che prende le cose con serietà.
Il suo impegno religioso è piuttosto vivo in questo periodo. In seconda e in terza media partecipa alle funzioni del mese di Maggio in parrocchia (Sacra Famiglia). Gli adulti che organizzano il rosario considerano poco il ragazzino, mentre egli avrebbe svolto volentieri un ruolo attivo.

Terminate le medie, Emer si iscrive al liceo S. Carlo di Modena prendendo con serietà i suoi studi. Desidera far bella figura, e si arrabbia se qualche voto è al di sotto delle sue aspettative: il non saper accettare con pazienza i propri limiti è un lato del suo carattere contro il quale dovrà sempre lottare, e sul quale riporterà alla fine una sofferta ma definitiva vittoria.

 

 

Le attività principali di Emer sono la scuola e gli scout, mentre come attività sportiva si dedica al nuoto, alla “Città dei Ragazzi”.

Negli scout Emer era entrato nel 1983, a 9 anni, iniziando un cammino che seguirà sempre per tutta la sua vita, vivendo con entusiasmo ogni attività e “passaggio” dell’esperienza scout. Dai 9 ai 17 anni parteciperà a tutte le vicende dei gruppi di appartenenza, il “Modena 3” di S. Pietro prima e il “Modena 6” di S. Rita durante il “noviziato” poi.

Questa non è solo l’occasione per conoscere nuovi amici, ma anche per crescere nell’esperienza umana, solo verso la fine, proprio poco prima di terminare il “noviziato” e dopo l’esperienza forte presso Casa S. Sergio, egli avverte un vuoto: forse sente il bisogno di qualche cosa di più; ma ciò non toglie che a livello di amicizie, di incontri personali e di gioia di comunicare, l’ambiente scout rimarrà il suo mondo fino alla fine.

È di questo tempo la conoscenza con la comunità monastica dei “Figli di Dio”, nella cui casa madre (Casa S. Sergio) di Settignano (Firenze) viene portato dall’amico Filippo nel giugno del 1991. Qui Emer conosce il Padre fondatore, don Divo Barsotti, don Serafino e gli altri giovani monaci di Casa S. Sergio da cui rimane profondamente colpito e affascinato. Nell’occasione di questa visita a Settignano (che rimarrà l’unica) Emer entra nell’aspirantato della Comunità, e inizia un cammino di formazione spirituale più specifica a Modena, dove la Comunità è presente con diversi consacrati.

Emer è stato profondamente cambiato dall’esperienza di Settignano: in prima liceo va a Messa tutti i giorni, tutte le sere o quasi va in Duomo con Filippo per i Vespri. Le venute del Padre e di don Serafino a Modena nell’autunno del 1991 lo accendono di entusiasmo. Si inizierà con don Serafino un dialogo che lo porterà presto ad affrontare il tema della chiamata di Dio.

 

Riportando una breve telefonata con don Serafino di Casa S. Sergio, risalente al tempo delle cure chemioterapiche di Milano

Don Serafino: – “Emer, stiamo tanto pregando per la tua guarigione. Se guarisci, ricordati che ti aspettiamo qui!”

Dopo un attimo di silenzio: “Eh, ci ho pensato… Se il Signore vuole!”

 

 

Nell’agosto 1991 Emer viene travolto da un motociclista che procede ad alta velocità: un brutto incidente in cui riporta una grave ferita al piede ed escoriazioni varie. “Credevo di morire”, dirà più tardi ai genitori, ma aggiungerà anche che in quegli attimi l’unico pensiero che gli attraversa la mente è quello del dispiacere che avrebbe dato ai suoi. Emer deve stare in ospedale per 10 giorni poi gli ci vogliono 5 mesi di convalescenza per riprendersi completamente.

In questi mesi egli riflette a lungo sul dono della vita e della salute.

Appena terminata la convalescenza, Emer comincia ad avvertire un dolore alla testa, localizzato nella zona della fronte, anteriormente. Da principio si pensa ad una sinusite, e si apprestano le cure del caso. Ma visto che né aerosol né altre medicine ottengono effetto, si provvede ad una visita più accurata.

Siamo all’inizio dell’anno 1992, verso la fine del mese di gennaio: l’ultimo anno della sua vita.

 

 

Il 15 febbraio Emer esegue una TAC che evidenzia la presenza di una neoformazione solida a carattere infiltrante che occupa completamente la fossa nasale sinistra, infiltrando il seno mascellare, e si estende attraverso il setto alla fossa nasale destra. La neoformazione penetra nell’orbita sinistra comprimendo il globo oculare, che lievemente protende dall’orbita, con una lacrimazione continua.

Emer esegue l’esame con calma: l’idea di una malattia così grave non lo sfiora. Il senso di completa chiusura del naso a sinistra e parziale a destra determina un fastidio rilevante e lo costringe a respirare con la bocca. È presente anche mal di testa localizzato al centro della fronte, che recede con la somministrazione di analgesici per bocca. Non sapendo con precisione di che cosa si tratti, non si azzardano ipotesi, anche se il sospetto che ci sia qualcosa di grave comincia a serpeggiare.

Il 19 dello stesso mese, Emer esegue la RMN, che conferma e precisa meglio l’estensione della neoplasia.
Il 24 febbraio Emer viene ricoverato per la prima volta a Parma, per due giorni: si vuole sapere con precisione cosa abbia Emer, e si fanno tutte le analisi del caso. Stupisce il comportamento di Emer: immobile nella sofferenza, non una parola o un lamento.

Durante la degenza Emer dice alla madre: “Pensa, mamma, posso andare in bagno da solo”. Sulle prime la madre giudica banale questa frase, poi sentendo alcuni discorsi tra Emer e il fratello Francesco, avverte che il figlio ha interiorizzato a sofferenza del dolore fisico, trasformandola in qualche modo in amore verso chi soffre.
Prima della dimissione viene comunicata al padre la notizia terrificante: si tratta di un tumore ad alta malignità; è una forma rara, estremamente aggressiva, che non perdona: è chiaro che ci si trova di fronte un male di cui non si osa quasi nemmeno pronunciare il nome.

Emer intuisce qualcosa, ma rimane sereno, senza turbarsi. Il compito di comunicare al figlio l’entità del male sarà assolto dal padre pian piano, dopo poco tempo.

A Milano si specifica e precisa la terrificante diagnosi: ciò che colpisce è, oltre alla rarità del tumore è l’altissima malignità.

Umanamente parlando, non c’è nessuna speranza.

 

 

Il 5 marzo si dà inizio della chemioterapia: non c’è più tempo da perdere. Il medico chiede di parlare con Emer, dirgli che si tratta di un tumore maligno, ma che si può curare, e vuole proporgli di raccogliere lo sperma da mettere in banca perché la cura lo renderà sterile: Emer risponde negativamente, lascerà che sia il padre a dirgli quello che ritiene opportuno.
I giorni degli accertamenti a Milano sono molto pesanti per Emer, sia fisicamente che psicologicamente. Una sera, a Modena, seduto sul divano, afferma: “Quando sarà finita voglio andare 15 giorni a Settignano, la c’è veramente una grande pace”.
Il dolore alla testa è continuo, accentuato anche dai continui viaggi in macchina. Il vomito è presente spesso, tuttavia Emer dimostra una carattere molto forte.

 

A fine marzo, in piena Quaresima, Emer fa due cicli di chemioterapia molto pesanti. Le sofferenze questa volta sono gravi: forti dolori all’addome, forte nausea, grande prostrazione. Nonostante questo, egli vuole continuare ad andare a scuola affrontare le interrogazioni e i compiti per non compromettere l’anno.
Il 1 Aprile, mentre è a scuola, Emer si accorge di essere cieco dall’occhio destro (quello che vede meglio: l’occhio sinistro vede meno ed è spinto leggermente in fuori dal tumore che ha invaso l’orbita). È molto spaventato, ma non dice niente. Ne parla con la mamma a casa, che, allarmata, prende l’appuntamento con l’oculista.
Emer supera anche questa prova e riprende a studiare.
I genitori lo portano ora a scuola in macchina, ma se può torna a casa a piedi.
Una volta soltanto rincasò nel tardo pomeriggio: era stato al GAUCI dove, come scout, aiutava un ragazzo a studiare. Era andato ad avvertirlo che non poteva più seguirlo. Emer sa di avere un tumore, ne conosce il nome terribile, sa che la chemioterapia serve alla preparazione dell’intervento per prevenire una recidiva: in conclusione, si rende perfettamente conto della gravità della sua situazione.

 

In seguito alla chemioterapia il suo quadro esteriore è il seguente: l’occhio sinistro sporge dall’orbita per via del tumore, l’occhio destro è cieco, è completamente senza capelli e molto debole.

Eppure continua ad andare a scuola, non si nasconde, affronta ognuno a viso aperto e con tutta la serenità di cui è capace.

9 Aprile. Emer va a scuola perché c’è il compito in classe di greco. È pallido come uno straccio, debolissimo, quasi barcollante, con l’occhio cieco e con dolori emicranici. Ma va.
Alla sera dello stesso giorno, Emer fa la RMN cerebrale di controllo: il tumore si è esteso ed è penetrato nel cervello.
La risonanza provoca un forte contraccolpo: è il crollo improvviso.

Emer si butta a letto e vi rimane immobile, non mangia, beve pochissimo, vomita e ha mal di testa. Con un grande sforzo poi finalmente si alza. va in bagno, con forti conati di vomito, ma cade a terra per l’eccessivo sforzo. I genitori angosciati accorrono, lo sollevano e lo riportano a letto;

mentre Emer viene sdraiato, dice con un filo di voce parole nelle quali si sente per la prima volta la paura: “Papà, ma io guarirò?” Gabriele lo abbraccia forte: “Ma certo che guarirai, che cosa dici? Sono quelle medicine che ti fanno questo effetto… non avere paura”.

Emer non dice più niente, e rimane a letto per quattro giorni, durante i quali riceve per la seconda volta l’olio degli infermi.
Ci si rende conto che bisogna operare Emer prima che sia troppo tardi. Finalmente Emer viene ricoverato, a Parma.

 

 

 

È martedì 14 Aprile, martedì santo.

Negli ultimi giorni prima del ricovero a Parma, Emer perde progressivamente la vista dall’unico occhio sano. Quando viene ricoverato è quasi completamente cieco, e le condizioni generali sono in progressivo peggioramento, il male di testa è praticamente incessante e ininterrotto. In macchina è tranquillo, ma vicino all’ospedale di Parma avverte una nausea invincibile, chiede di fermarsi, scende, rimane per qualche minuto in piedi, in silenzio, poi pian piano riprende forza. In ospedale si rendono subito conto delle gravissime condizioni e lo sottopongono a tutte le cure.
Alla prima sera della degenza, Emer chiede al papà di accompagnarlo in bagno; mentre viene accompagnato a piccoli lenti passi, Emer comunica al padre, a bassa voce, la drammatica verità che da qualche minuto è la sua nuova e definitiva realtà: “Papà, non ci vedo più”. Tutto qui. Nessun commento, nessuna perdita di calma. È una semplice constatazione.
In bagno vomita per l’ennesima volta; è stremato, e con voce bassa, con un tono di mansuetudine persino inconsueto, confessa: “Non ce la faccio più a vivere cosi”.

Ma proprio questa frase segna il preludio di una nuova fase, di un elevato, progressivo e inaspettato innalzamento della sua anima e della sua esperienza.
15 Aprile, mercoledì santo. Emer è totalmente cieco.
16 Aprile, giovedì santo. Di notte Emer, assistito dalla mamma, chiede di esser accompagnato in bagno. Al ritorno, verso l’una di notte, si sdraia sul letto e pronuncia con pacata dolcezza: “Gesù, Gesù”. È un tono mai sentito prima, una dolcezza che strugge… si ha l’impressione dell’abbandono totale. Appena invocato il Signore, infatti, si rannicchia nel letto nella posizione che ha il bambino nel ventre materno. Non sembra una implorazione, ma una frase di amore.

Alle 8.05 vengono a prenderlo per portarlo in sala operatoria. Uscirà verso le ore 16.00. Il primario, prima dell’operazione confida al padre di essere pessimista: teme di non poter fare niente.

All’uscita della sala operatoria invece è soddisfatto: “È stato meglio di quanto pensavo. Abbiamo tolto tutta la massa”; non è però un intervento radicale perché sono rimasti piccoli residui inasportabili.
17 Aprile, venerdì santo, compleanno di Emer. Il raggiungimento della maggiore età è sempre un avvenimento importante nella vita di un ragazzo, è come sentirsi improvvisamente più uomo. Certamente Emer non avrebbe mai pensato di compiere 18 anni in quelle condizioni: attorno al suo letto sono i familiari e gli amici intimi, ma lui non risponde perché l’effetto dell’anestesia si fa ancora sentire.

Il giorno dopo, per una eccessiva deliquorazione (perdita di liquido cerebrospinale dal drenaggio lombare) Emer va in coma, ma poi si riprende.
19 Aprile, Pasqua. Emer si riprende bene. Parla, e chiede addirittura di alzarsi. Cambia spesso posizione nel letto; non vede nulla ma sente tutto. Risponde ad ogni domanda, stringe la mano a chi gliela accarezza. Fa tenerezza: la vasta cicatrice sul cranio totalmente rasato, le sue rade pacate parole, gli danno un aspetto particolare: come un bambino indifeso che lotta contro un gigante.

 

 

 

24 Aprile. Un evento importante, che getta un fascio di luce su tutta la vicenda di Emer:

Emer si consacra a Dio.

È all’ospedale, immobile: da Casa S. Sergio gli viene chiesto se desidera affrontare e vivere il passo della consacrazione, nonostante le condizioni pessime in cui si trova. La sua risposta è non solo affermativa, ma egli fa sapere che desidera proprio compiere questa donazione totale di sé a Dio, li, all’ospedale di Parma.

Di quel giorno ricorda don Serafino: «quando entrai in quella stanza d’ospedale rimasi impietrito. Emer era irriconoscibile. Era l’immagine del dolore, dell’impotenza innocente. Mi avvicinai al letto, non vedendo, non si era accorto di nulla, e per i primi dieci minuti non seppi far altro che piangere su di lui. Poi finalmente lo salutai, ed egli mi rispose affabilmente. Celebrammo la S. Messa nella stanza, dopo aver ottenuto dagli infermieri il permesso di poter rimanere da soli per un’ora”.

 

Prima di ricevere la S. Comunione egli esprime a voce alta (l’unica volta durante tutta la sua degenza, poi parlerà sempre con voce sommessa) la sua donazione: “Oggi io, Emer, alla presenza di Dio Onnipotente, della Beata Vergine Maria e di tutti i santi, alla presenza di voi, padre, e di voi fratelli intendo, donarmi e consacrarmi totalmente e per sempre a servizio e lode del Verbo di Dio incarnato per nostro amore, nella Comunità dei figli di Dio”.

Poi si adagia, pacato e sereno, in ringraziamento.

Sempre don Serafino riporta: “Gli chiedo se riesce a pregare. Silenzio. Penso che non abbia sentito, e mi accingo a ripetere delicatamente la domanda, quando egli mi previene con una sola stupenda parola: “rosario”. Aveva capito benissimo, e io apprendo così con intima gioia che nel silenzio del suo animo il dialogo è reale e presente, e probabilmente molto più profondo e continuo di quanto non si creda. Diciamo un’Ave Maria insieme, anzi, la dico io solo, perché dopo le prime parole la sua voce si affievolisce e si spegne. Credendo che voglia riposare, faccio per allontanarmi, ma egli ancora una volta mi anticipa e sussurra, come per continuare un discorso già iniziato: “Sì, sento Gesù vicino.”

 

Prima di ripartire don Serafino di china verso di lui e, tenendogli la mano: “Emer, io torno a Settignano. Che cosa devo dire al Padre?” La sua magnifica e incredibile risposta è: “Digli che va tutto bene”.”

 

Dal momento della consacrazione in poi qualcosa cambia nella vita di Emer. È come se entrasse in uno stato di abbandono, di fiducia, di pace. Sembra quasi che aspetti la morte o, meglio, l’adempimento di ciò che ha appena promesso. Tanti piccoli fatti inducono a pensare ciò, ma soprattutto è l’idea comune di tutti coloro che da questo momento in poi vengono a visitarlo.

 

Nel medesimo giorno a Brescia viene data una risposta totalmente negativa sulle possibilità di recupero di Emer; lo specialista al quale il padre si era rivolto rifiuta decisamente l’ipotesi della radioterapia, tanto è irrecuperabile il caso.

 

 

 

28 Aprile. Tutto sembra procedere abbastanza bene, se si eccettua la caduta ormai della speranza che Emer possa riacquistare la vista. Ma al dodicesimo giorno dall’intervento arriva la definitiva mazzata: il tumore ha ripreso a “camminare” decisamente, ed esplode di nuovo con tre grosse recidive: al cervello, nell’orbita sinistra e nella guancia sinistra.
I genitori decidono di portare Emer a casa a morire.
Rimarrà a casa a Modena fino all’11 Maggio, data del suo secondo e ultimo ricovero ospedaliero a Bologna.

Nei dieci giorni di Modena Emer rimane quasi sempre sprofondato nel silenzio.

Capisce e sente tutto: la sua vita interiore non è certo ferma.

Una sera torna fuori il dolore alla testa. Emer urla dal male. Subito gli viene praticata una endovenosa. Emer: “Papà, non andare via, resta qui”. Il dolore non va via, gli viene ripetuta l’iniezione. Emer lentamente difatti si calma. Cominciano allora a pregare insieme perché il dolore scompaia, e da quella sera il dolore si placa.
Il 12 Maggio Emer viene ricoverato a Bologna
Nella penultima settimana di vita c’è una ripresa: Emer torna a mangiare con più frequenza, sempre pappe semiliquide. Quando gli chiediamo com’è il mangiare, egli con la mano ci fa segno come per dire: così così.
Una volta un’infermiera lo saluta e lui risponde agitando la mano. È molto tranquillo; in certi giorni ci dà l’impressione di un certo benessere.

Vengono in tanti a trovarlo, ma ormai non per parlare con lui: egli scambia solo qualche rada parola. Emer colpisce per la straordinaria serenità con cui soffre.

Al parziale miglioramento dell’appetito non corrisponde però il miglioramento del tumore che, nonostante la pesante chemioterapia, gli deforma sempre più il viso.
Verso il 22 Maggio comincia l’epilogo dell’agonia di Emer: comincia a sanguinare per il calo delle piastrine, dal naso, dalla bocca, dagli occhi, lentamente ma inesorabilmente.

 

 

 

31 Maggio, domenica. La Chiesa festeggia la solennità dell’Ascensione di Cristo: il Signore, terminata la sua missione, ritorna al Padre.

Emer muore alle ore 14.25.